Di fronte al risultato del 5 e 6 giugno a Francavilla non ci sono parole. Un trionfo, una vittoria senza se e senza ma. Gli sconfitti devono rispettare il responso popolare ed attrezzarsi per controbattere allo strapotere costituito. Nel campo dei vincitori, invece, c’è da registrare solo chi si sbrodola di più. Si va dagli accenti dalfonsiani: “una vittoria kennediana, un trionfo da imperatore”, ai più modesti frequentatori di FB che proseguono, lingua strisciante a terra, la missione di canonizzazione del Luciani. Ci sono quelli che sono saliti, al volo, sul carro del potenziale vincitore a cui arrivano le prime delusioni. Speranze coltivate e fatte coltivare e alcuni, malgrado ottimi riscontri elettorali personali, si ritrovano con un pugno di mosche e senza una prospettiva in amministrazione.
Infine ci sono i peones, quelli che, pur di fare un dispetto agli ex compagni, vista menomata e ridotta al lumicino la speranza di essere protagonisti della campagna elettorale, si sono aggregati al Sindaco risultando abbondantemente ultimi della coalizione vincente (SI per Francavilla) costruita “a forza” anche con personaggi improponibili (ex candidati della Destra fiamma tricolore) e altri con simpatie non certo a sinistra. Riempiendola di amici e cavalli di ritorno anche con posizioni in antitesi a chi dal nazionale professava, ad esempio, il no al referendum istituzionale. Unico risultato: aver distrutto l’unità della sinistra. Al tavolo della vittoria, tuttavia, non hanno trovato posto. Dovranno accomodarsi nelle anticamere ad aspettare, forse, una chiamata o una elargizione concessa più per pietà e magnanimità che per il valore espresso sul campo. Miseri personaggi alla corte dell’imperatore (il nominativo di uno dei quali, bontà sua, è nella redazione del nostro giornale).
Da Primo Foglio n. 3 luglio- agosto 2016