Pubblichiamo l'intero contributo inviatoci dal nostro preziosissimo collaboratore Romolo Vitelli sulla figura di Rocco Angelucci recentemente scomparso. In occasione dell'uscita del Libro di Giuseppe Iacone sulla figura di Angeluci il Prof. Vitelli ci ha inviato questo scritto che, in piccola parte, data la sua lunghezza, è stato pubblicato sul n. 1 di PrimoFoglio febbraio Marzo 2014 attualmente in distribuzione.
Rocco Angelucci, un partigiano vero.
"La Resistenza è stato un grande evento storico.
Nessun Revisionista riuscirà mai a negarlo."
Renzo De Felice, Il rosso e il nero.
L'amico Giuseppe Iacone mi ha voluto far dono della sua ultima "fatica": Rocco Angelucci un partigiano vero.
Con questo libro, che si aggiunge agli altri, l'autore ricostruisce con dovizia di testimonianze, documenti e foto il teatro delle le vicende e delle azioni partigiane durante l'occupazione nazista che hanno visto Rocco Angelucci, protagonista generoso e disinteressato nella lotta partigiana.
I francavillesi dovranno essere molto grati alle tante ricerche storiche minuziose portate avanti da Giuseppe Iacone che con il suo prezioso lavoro ha ricostruito ed illustrato nei numerosi libri pubblicati la vita politica, economica e culturale di Francavilla e fatto luce sul martirio della cittadina durante la Seconda Guerra Mondiale.
Ma Giuseppe Iacone non si è limitato ad una pura opera di ricerca storica disinteressata, ma si è impegnato, assieme alle forze democratiche antifasciste francavillesi, nelle tante lotte politiche per indurre le Autorità centrali a conferire la medaglia d'oro alla nostra cittadina ed onorare i nostri martiri. Com'è noto questo giusto riconoscimento arrivò con il Presidente On. Pertini che nel 1984 firmò il decreto con il quale si conferiva alla città di Francavilla al mare la medaglia d'oro al valor civile con la seguente motivazione: "Ridente cittadina degli Abruzzi, gravemente provata, nell'ultimo conflitto mondiale da spaventose rappresaglie del nemico invasore, resisteva impavida alle più dure sofferenze e contrastando l'offesa, sopportava con fiero coraggio le più rovinose distruzioni e la crudele perdita di vite umane. Mai piegando la sua fede in un' Italia migliore. Offriva magnifico esempio di patriottismo e di devozione alla patria."
E di questo i cittadini dovranno essere sempre riconoscenti al caro "Peppe".
Fatta questa premessa doverosa veniamo al contenuto del libro.
La vicenda di un partigiano generoso, ma dal carattere impulsivo
In questo volumetto, che si legge agevolmente, l'autore riprende, anche se sommariamente, le ingiuste ed assurde vicissitudini giudiziarie in cui strumentalmente Rocco Angelucci è stato coinvolto, restituendoci nella sua umanità, integrità e verità storica la nobile figura del patriota e partigiano "Rocche de Nonnine", uno dei figli migliori della Francavilla democratica, troppo a lungo ignorato, dimenticato ed anche vilipeso ed ingiustamente incarcerato.
L'autore ricostruisce la gioventù dell' Angelucci. A diciassette anni, ultimo di cinque figli, da alcuni mesi era morto il padre, Rocco partì per cercare lavoro in Albania, a Durazzo, come operaio militarizzato nella costruzione di strade. Alla fine del 1939, ebbe una lite con un tenente della Milizia fascista e dopo questo incidente l'Angelucci andò dall'Albania in Iugoslavia a lavorare nelle miniere di cromo. Ma in Iugoslavia restò poco tempo, finché nel 1940 l'Italia non entrò in guerra. Nel 1941 venne chiamato alle armi e a gennaio si imbarcò a Venezia come marinaio su un cacciatorpediniere che con altre navi doveva scortare convogli per l'Africa.
Dopo lo sbarco degli alleati in Sicilia del luglio ‘43 condusse, in qualità di timoniere, due petroliere che dovevano essere portate a Napoli dal Porto di Palermo. Arrivato a Napoli sbarcò e cominciò il suo viaggio di ritorno verso casa. Dopo l'8 settembre 1943 Francavilla venne occupata dai tedeschi e per molti giovani in tutta Italia, così come per l'Angelucci, si poneva il dilemma o subire o reagire. "Quando i tedeschi occuparono Francavilla"- dice Rocco - "erano due le cose da fare, o subire o reagire. La prima via era più comoda perché non si correvano rischi; ma io ho scelto la seconda, che comportava un continuo rischio della vita: la scelta è dipesa dal mio carattere e non dalle mie idee politiche, perché allora non ero formato ideologicamente. Insomma non ero disposto a subire prepotenze dai tedeschi."
Da questa dichiarazione del partigiano Angelucci, emerge nitida la personalità adamantina di un uomo, che pur privo di una rigorosa motivazione ideologica e politica, istintivamente sa di dover anteporre le sue ragioni personali a quelle generali, schierandosi dalla parte giusta, contro l'occupante nazista. Riflettendo su questa risposta che Rocco diede a G. Iacone mi viene in mente ciò che dice il poeta e drammaturgo romantico tedesco Ch. F. Hebbel in proposito:"Nell'inferno della vita entra solo la parte più nobile dell'umanità:gli altri stanno sulla soglia e si scaldano".
Trascorrono circa sei settimane dall'8 settembre, durante le quali l'invasione delle truppe tedesche avviene in modo rapido e massiccio. Nonostante il divieto da parte degli occupanti tedeschi di possedere armi pena la perdita di vite umane Rocco Angelucci, allora ventenne, costituì, organizzò e guidò come capo indiscusso, anche a Francavilla una banda partigiana, formata prevalentemente da soldati e marinai del luogo tornati in paese dopo l'armistizio. A questi si aggiunsero militari che si trovavano di stanza a Francavilla e altri sbandati, inoltre ex- prigionieri inglesi, americani, iugoslavi fuggiti dai campi di concentramento della zona. Questi partigiani, detti in un primo tempo "ribelli," poi "patrioti," svolgevano quel tipo di lotta che un territorio per lo più pianeggiante, come quello di Francavilla, poteva consentire: soprattutto quindi attività di sabotaggio. Il 12 settembre, di fronte alle "continue malefatte della soldataglia tedesca " (come si esprime l'Angelucci), con un pugno di compagni s'impadronisce del deposito di armi presso il locale distaccamento della Guardia Costiera e forma un "Gruppo di volontari". Nel giro di pochi giorni, al primitivo nucleo, si aggiungono altri militari sbandati, fino a costituire un raggruppamento di circa duecentocinquanta uomini. Naturalmente la disciplina è scarsa e non tutti gli elementi risultano affidabili sul piano militare. In tale contesto diventa preziosa lo presenza di alcuni ufficiali e sottufficiali che si aggregano negli ultimi giorni dì settembre. In particolare acquista rilievo l'ingegnere Carlo Barbero."
Prima però di continuare a parlare della banda partigiana sarà bene raccontare un paio di episodi riportati dall'autore che ci aiutano a comprendere meglio il carattere e la personalità un po' controversa di Rocco, di colui cioè che sarà il capo indiscusso dei patrioti francavillesi.
Il suo carattere impulsivo lo spingeva spesso a fargli perdere la calma e a ricorrere subito alle vie di fatto senza fare distinzioni tra uomini ed animali. Si tratta di due episodi: uno precedente l'occupazione militare di Francavilla; l'altro accaduto durante la lotta partigiana contro i tedeschi.
"Prima che il nostro paese venisse occupato militarmente"- racconta l'Angelucci -"già c'erano alcuni tedeschi: uno di questi, un po' sbronzo, una sera presentandosi a casa mia mentre stavamo cenando, pretendeva che ciascuno di noi bevesse l'acqua della bottiglia quando arrivo a me gliela ruppi in faccia". L'altro episodio abbastanza noto è quello della "mula".
"Un giorno, arrivò al campo dei partigiani una giovane signora in sella ad una mula: si trattava della moglie del Maggiore Barbero. L'Angelucci si avvicinò al gruppetto ed in segno di saluto, batté con la mano sul posteriore dell'animale. La bestia reagì sferrando un calcio che colpì l'Angelucci, in pieno petto, facendolo stramazzare al suolo. In quel momento tutti gli astanti pensarono al peggio, temendo per la vita dell'Angelucci, ma questi, dopo qualche istante si rialzò e senza indugio, tirò fuori dalla tasca una bomba a mano e la scagliò proprio sulla natica della mula. Della povera bestia rimase ben poca cosa. Con quella reazione l'Angelucci si è comportato in modo istintivo ed irrazionale al pari della mula. Il povero Rocco a terra dopo aver ricevuto il calcio al petto dalla mula avrà pensato che non bisognerebbe mai dimenticare ciò che raccomanda il famoso detto di essere sempre: "davanti ai cavalli, agli asini e ai muli; dietro ai cannoni e alle mitragliatrici."
"La moglie del Maggiore Barbero ed alcuni suoi accompagnatori reagirono verbalmente, ma fortunatamente il tragico episodio non ebbe conseguenze sul momento. Al rientro nel campo del Barbero, informato del fatto, si infuriò e avrebbe voluto far fucilare l'Angelucci per il gesto "inconsulto" compiuto. Quando l'Angelucci fu messo al corrente dell'intenzione del Maggiore nei suoi confronti, non perse tempo, imbracciò una mitragliera da posizione e si piazzò su una collinetta, da dove invitò chiunque volesse opporsi a lui, a farsi avanti." Questi era un po' Rocco.
L'occupazione tedesca era sempre più spietata; ma i partigiani continuavano a compiere atti di sabotaggio per impedire i movimenti operativi tedeschi, di disturbo delle comunicazioni, nonché di aiuto ai prigionieri e ai paracadutisti alleati. I partigiani di Francavilla erano in collegamento con gli alleati: con un capitano scozzese e un sottufficiale inglese, che erano stati paracadutati allo scopo di organizzare gli imbarchi notturni degli ex prigionieri alleati, che venivano raccolti da un sottomarino presso la foce del fiume Foro. Durante una di queste operazioni, in una notte di novembre, avvenne uno scontro a fuoco tra un'imbarcazione germanica in servizio di perlustrazione e i partigiani: due ufficiali tedeschi rimasero uccisi. Gli imbarchi, sospesi per qualche tempo per l'aumentata vigilanza tedesca, furono successivamente ripresi a nord di Francavilla nei pressi del fiume Alento. Tra le imprese più notevoli fu la cattura del presidio della Wehrmacht in servizio alla stazione radar di S. Maria della Croce.
Con la fine della seconda guerra mondiale e la sconfitta del nazifascismo ad opera degli alleati e dei partigiani, non vi fu però il giusto riconoscimento per i partigiani e per il martirio di Francavilla.
Nel dopoguerra le forze reazionarie cominciarono, un po' da per tutto in Italia, e quindi anche a Francavilla a criminalizzare le forze partigiane, i loro capi e con essi la Resistenza si veda a tal proposito l'assurdo processo intentato al capo partigiano Rocco Angelucci, ingiustamente incarcerato, processato e poi assolto. L'autore Iacone riporta nel testo quanto afferma in proposito
il Prof. Costantino Felice, docente presso l'Università D'Annunzio di Pescara nel suo volume: "Guerra Resistenza Dopoguerra in Abruzzo: "Arresti e processi per "atti inconsulti" compiuti sia durante la lotta partigiana che contro "ingiustizie" e "soprusi" dell'immediato dopoguerra devono subire anche taluni esponenti della Resistenza a Francavilla al Mare, Rocco Angelucci in primo luogo che ne fu principale artefice. Nel clima della restaurazione post-bellica, uno schieramento di forze molto ampio (da settori della magistratura a partiti politici, da ambienti economici, a buona parte della stampa) tenta di accreditare nell'opinione pubblica l'immagine del partigiano come delinquente o comunque elemento pericoloso per l'ordine costituito."
Ed è quello che cercarono di fare con l'Angelucci le forze reazionarie francavillesi, approfittando delle sue intemperanze e dei suoi eccessi giovanili per criminalizzare la Resistenza e la lotta delle bande partigiane a Francavilla.
"Purtroppo"- scrive Giuseppe Iacone nel volume "Kaputt!", Francavilla dal Fascismo alla Resistenza- "la sua giovane età, la sua inesperienza e il suo temperamento impulsivo davano facili occasioni agli avversari del movimento della Resistenza per accusarlo di essere un turbolento ed arrestarlo, facendolo passare per uno che voleva turbare l'ordine pubblico."
Ecco come un suo amico e conterraneo il dott. Italo Leonzio studioso di storie locali con spontanei, significativi e plastici versi in dialetto francavillese stigmatizza le vicissitudini dell'Angelucci : (...) cianne dette la guerra è necessarie/ senza combatte nsi n 'ommene vere/ dapù ha successe c'ha cagnate l'arie se fa/ le guerre ve finì galere.Succede sempe quande cagne vente/ ca tu da eroe divinte delinquente/
ormai è chiare ognune le capisce (...)
Così Rocco Angelucci venne denunciato, processato ed infine assolto il 26 maggio 1947. L'assoluzione pose fine ad una vergognosa montatura, ma le ingiuste vicende giudiziarie nelle quali era stato coinvolto lo avevano non poco amareggiato, deluso e segnato emotivamente. Racconta a tal proposito a pag.157 di "Kaputt" Giuseppe Icone: "Da un colloquio avuto con lui ho ricavato l'idea che egli era molto amareggiato, per le vicende giudiziarie nelle quali era rimasto coinvolto, dopo aver rischiato la vita nella Resistenza, ma con tutto ciò era pienamente convinto di avere sempre agito con onestà di intenti e sarebbe stato pronto a ripetere le sue esperienze, perché sapeva di aver fatto il suo dovere di cittadino.
Sono e resto convinto, e lo dico da cattolico democratico ed antifascista, avendo esaminato con cura i documenti della sua vicenda giudiziaria, ma soprattutto dopo il nostro colloquio, che egli è stato e resta un uomo esemplare, che merita rispetto e riconoscenza da parte di tutti noi, un patriota che ha contribuito insieme agli altri suoi compagni partigiani francavillesi, che per brevità non posso nominare tutti, a ridare all'Italia la libertà e la democrazia.".
Ma a restituire all'Angelucci onore e dignità intervenne il decreto datato 18 marzo 1956, con il quale il Presidente della Repubblica Italiana gli concesse la Croce al Valor Militare con la seguente motivazione: "Organizzatore di bande armate partecipò attivamente alla lotta di liberazione svolgendo ardite azioni dì sabotaggio e di fuoco, segnalandosi sempre per il suo spinto patriottico e coraggio esemplare".
L'autore chiude la storia del partigiano Rocco con questa frase "O pè, nen ce stà niente da fa, seme punte e daccapo".
Il mio ultimo incontro con il compagno Rocco.
Qualcosa di analogo disse anche a me l'ultima volta che lo vidi. Spesso prima di ritornare a Varese andavo a salutarlo; sapevo di trovarlo, fuori Porta San Franco, assieme ai suoi amici di partite a carte e di "passatelle". Avrei voluto dirgli che aveva ragione, ma che purtroppo una buona parte degli italiani è sempre stata incline al qualunquismo ("Francia o Spagna purché se magna") e pronta a correre dietro ai demagoghi, pifferai e populisti di turno: ieri Mussolini, oggi Berlusconi, Grillo, dimenticando le drammatiche tragedie e le crisi vissute. Ma non lo feci. Sapevo che non amava molto parlare della Resistenza né della sua esperienza di partigiano. Alle nostre riunioni nella sezione del P.C.I. pur iscritto non partecipava, quasi a non volerci coinvolgere nelle sue vicende amare personali; ma era sempre disponibile, gentile e vicino alle lotte che il partito portava avanti a Francavilla.
Caro Rocco, vorrei dirti oggi, riprendendo quel discorso ideale che mai si interrompe tra gli spiriti che condividono gli stessi valori, quello che non ti dissi l'ultima volta che ci siamo visti.
La Resistenza purtroppo non è riuscita a creare quell'italiano nuovo per il quale voi avete combattuto. Aveva ragione Herbert Matthews, un giornalista americano che conosceva bene l'Italia, nel novembre 1944, scrisse un articolo molto scomodo, sul mensile Mercurio diretto da Alba De Céspedes che s'intitolava: "Non lo avete ucciso", e ci ritraeva, noi italiani e i nostri nuovi politici, incapaci di uccidere la bestia da cui in massa eravamo stati sedotti. Una vera epurazione era impossibile, soprattutto delle menti, dei costumi.". E questo perché dice giustamente Guido Guazza nella prefazione a G. Oliva, "La Resistenza alle porte di Torino" - "I venti mesi della Resistenza sono stati troppi per i lutti e il sangue che hanno provocato, ma nello stesso tempo sono stati troppo pochi per il rinnovamento morale e civile di cui il Paese aveva bisogno". E quanto alla lotta antifascista il giornalista H. Matthews concludeva che la lotta al fascismo doveva durare tutta la vita perché il fascismo: "È un mostro col capo d'idra, dai molti aspetti, ma con un unico corpo. Non crediate di averlo ucciso. L'idra è tra noi, anche oggi."
Che fare? Come fare i conti con i residui del nostro passato antidemocratico? Per combattere e neutralizzare l'idra che è ancora oggi tra noi bisogna comprenderne innanzitutto la natura e sapere che il fascismo è stato ed è un fenomeno tutto italiano. La parola "fascismo" non esisteva nel vocabolario internazionale è un fenomeno tipico italiano che noi abbiamo introdotto ed esportato nel mondo. Quindi il fascismo non fu un incidente, una parentesi della storia, destinato a sparire, come pensava Croce, ma qualcosa di più complesso e profondo. Il fascismo è stato "l'autobiografia della nazione", come lucidamente intuì il ventenne giornalista ed uomo politico antifascista Piero Gobetti, appena un mese dopo la marcia su Roma. Egli comprese che il movimento (poi il partito e infine il regime) fascista riproponeva in forma parzialmente nuova tutti i difetti storicamente radicati nel nostro Paese. Quindi non un incidente, un eccezionale "deragliamento della storia", ma un dato antropologico permanente dell'animo italiano. Primo Levi, dovendo ritrovare le radici dello sterminio dell'Olocausto ha scritto che "Auschwitz è la realizzazione e la concretizzazione del fascismo nato in Italia e diffusosi in tutto il mondo. Da qui si è formato il cancro e le sue metastasi si sono diffuse. "I lager nazisti"- scrive - "non sono stati un incidente, un imprevisto della storia, ma sono stati l'apice, il coronamento del fascismo in Europa, la sua manifestazione più mostruosa".
Perciò da questa consapevolezza bisogna partire, se si vuole cominciare a fare i conti con il nostro passato e tentare di dare alla memoria condivisa un futuro. Ma per dare una memoria democratica ed antifascista al futuro bisognerà cominciare non solo a combattere i revisionisti beceri e i negazionisti neonazisti, che hanno rialzato la testa; ma sarà anche necessario ripensare in forme nuove e più consone al Terzo Millennio le modalità di trasmissione dei valori resistenziali; e quelle relative alla memoria dell'Olocausto. E' noto che la distanza temporale di quei tragici eventi, dalla cultura giovanile europea, che sì è andata dilatando sempre di più, ha reso insignificante e sbiadita l'epopea resistenziale e le atrocità dello sterminio nazista. Spesso le celebrazione del 25 aprile sono state commemorazioni rituali e retoriche. Primo Levi ha scritto in un suo saggio che la Resistenza ha avuto dei nemici e ne ha ancora. "Soprattutto i ‘nemici' sono quelli che tendono a ‘imbalsamarla'. Per descrivere e trasmettere i fatti di ieri - sosteneva Levi - abbiamo troppo spesso adottato un linguaggio retorico, agiografico e quindi vago (...). Se desideriamo che i nostri figli sentano queste cose e pertanto si sentano nostri figli dovremo parlar loro un po' meno di gloria e di vittoria, di eroismo e di sacro suolo; e un po' più di quella vita dura, rischiosa e ingrata, del logorio quotidiano, dei giorni di speranza e di disperazione, di quei nostri compagni morti, accettando in silenzio il loro dovere-(...) Solo così i giovani potranno sentire la nostra storia più recente come un tessuto di eventi umani e non come un "pensum"[compito] da addizionare ai molti altri dei programmi ministeriali". Dunque nessun falso canone celebrativo. Occorre raccontare la Resistenza "senza inghirlandarla". Soprattutto l'immediato "dopo". Con dolore, franchezza e una dose di "pietas".
Addio compagno Rocco, grazie di tutto, i democratici antifascisti che ti hanno conosciuto, apprezzato ed amato non dimenticheranno la tua lotta per una Francavilla e per una Italia migliore, democratica ed antifascista.
Romolo Vitelli
Ad esso gli antichi greci dettero il nome di "daimon" e dai popoli latini fu chiamato "genius".
Poiché molto cerchiamo di capire di questa innata immagine, che prima della ragione esercita un movimento volto all'interno che tende a ciò che è proprio; considerando la nostra persona come esempio di vocazione e il nostro destino come manifestazione del genius, solo con una appassionata ricerca e un sensibilità immaginativa riusciremo, forse, a farci una ragione della mutazioni dl carattere e delle sue attitudini.
Tutto ha bisogno di essere studiato, indagato, analizzato; la gioventù, la vecchiaia, l'amore, il sonno,lo sport, i metodi stessi dell'indagine. Una indagine particolare è riservata all'infanzia e alla bellezza, anche se questa "arresta il moto", come recita Tommaso d'Aquino nella sua "summa theologiae", ma esercita, albergando nel cuore umano, una cura valida per il malessere della psiche.
Il genius svolge la sua funzione in diversi modi; ci protegge, insiste e inventa con ostinatezza, si oppone alla ragionevolezza e spesso obbliga il suo padrone alla bizzarria e al capriccio. Può fare ammalare il corpo, è incapace di adattarsi al tempo, e nel flusso della vita trovi gli errori e gli ostacoli.
Ha bisogno della sua parte di bellezza, vuole essere visto, ricevere testimonianze e riconoscimenti. Le immagini e le metafore sono la sua lingua madre, e la base poetica della sua mente, gli rende possibile la comunicazione con tutti gli uomini e le cose di questo mondo.