L'ERBARIO DELL'ORTOBOSCO

Questa sezione raccoglie le specie vegetali spontanee e coltivate dell’Ortobosco, un piccolo patrimonio cresciuto in un’area rimasta intatta per decenni. L’erbario nasce per incuriosire, avvicinare e far scoprire la ricchezza del mondo vegetale a chiunque voglia esplorarlo.

STORIA DEL PROGETTO

Lo scopo del progetto è valorizzare un’area del territorio francavillese rimasta dimenticata per oltre trent’anni e restituirle nuova vita, nel totale rispetto dei tempi e degli equilibri della natura. Allo stesso tempo, vuole creare un ambiente di aggregazione sociale e avvicinare più persone al mondo vegetale e animale.

Per questo è nata una raccolta di schede che descrivono in linea generale le specie botaniche presenti nell’Ortobosco durante tutto l’anno. Non si tratta di un manuale scientifico né di un
trattato di botanica, ma di un invito: una “piuma” per stuzzicare la curiosità degli appassionati e, perché no, anche dei neofiti.

Il regno vegetale è stato a lungo una sorta di hic sunt dracones nelle nostre menti, qualcosa di distante, relegato ai documentari o agli esperti.
Questo porta a pensare che una parola come “ecosistema” sia complessa e lontana dalla vita.

quotidiana. Eppure l’Ortobosco nasce su un terreno incolto, che per oltre trent’anni non ha ricevuto influenze esterne dall’uomo. Una condizione oggi
rara e preziosa, che ci permette di osservare lo svilupparsi spontaneo della vita: dagli alberi alle erbe, dall’insetto più piccolo al mammifero più grande, tutto in quell’equilibrio che chiamiamo NATURA.

Conoscere le specie che negli anni si sono affermate in un territorio significa conoscerlo davvero, in profondità. Le schede che seguono offriranno non solo cenni botanici utili al riconoscimento, ma anche curiosità storiche, culinarie e agronomiche.

La cosa più importante da ricordare è che ogni singolo filo d’erba è, prima di ogni altra cosa, un essere vivente: al pari di qualsiasi animale che oggi consideriamo domestico, e quindi meritevole dello stesso rispetto.

ERBARIO      ORTOBOSCO      ERBARIO       ORTOBOSCO     ERBARIO       ORTOBOSCO     ERBARIO      ORTOBOSCO      ERBARIO       ORTOBOSCO

L’erbario è un progetto vivo, in continua evoluzione, che cresce e cambia insieme all’ambiente che racconta.
Immergiamoci insieme in questo piccolo angolo di paradiso, a pochi passi dalle nostre case!

Elenco delle specie

Acacia dealbata - Mimosa

Ordine: Fabales
Famiglia: Fabaceae
Genere: Acacia
Specie: Acacia dealbata

CARATTERISTICHE BOTANICHE

La pianta può raggiungere altezze di ben oltre i 10 m, con corteccia liscia e grigiastra e una chioma non molto folta. Le foglie si definiscono bipennate con una ventina di segmenti primari composti, a loro volta, di 30-50 foglioline. Sono sempreverdi (non lasciano cadere le foglie in inverno). I fiori sono sferici e raccolti in un grappolo (che in botanica prende il nome di racemo), di colore giallo e molto profumati: sono infatti spesso obiettivo di insetti impollinatori. Il frutto, a maturazione, è di colore nerastro ed è un lungo legume simile alla fava.

Va ricordato che la mimosa è ciò che si definisce “pianta pioniera”, cioè una specie vegetale che riesce a colonizzare per prima un nuovo territorio. Questa capacità deriva dalla facilità di propagazione tramite seme, non è raro infatti osservare piantine di mimosa nelle vicinanze di un grande albero della stessa specie.

HABITAT

La mimosa è una pianta originaria dell’Australia e della Tasmania. L’introduzione in Europa è dovuta al naturalista Sir Joseph Banks. Durante una spedizione che mirava a verificare la teoria di Magellano secondo cui esisteva un nuovo continente, chiamato ipoteticamente Terra Australis ignota, riuscirono ad approdare nell’attuale Australia: qui osservarono per la prima volta le mimose in fiore e decisero di portare i semi nell’Inghilterra. Il clima del Regno Unito non permise lo sviluppo della nuova specie in quanto troppo rigido. Fu così che si pensò di coltivare la mimosa nei paesi del mediterraneo, precisamente nel sud della Francia: nel 1780 i primi semi arrivarono in Inghilterra e nel 1850 iniziò la coltivazione in Francia, che porterà la mimosa in tutta Europa.

CURIOSITÀ

È ben noto che la mimosa, grazie alla deputata Teresa Mattei, dal 1946 è il fiore simbolo della Giornata Internazionale della Donna.

I fiori sono commestibili, sono spesso usati in insalate e primi piatti sia per decorare che per dare un gusto floreale. È interessante l’utilizzo come sciroppo: i fiori di mimosa si lasciano a macerare nello zucchero (si può anche aggiungere acqua): il risultato è un liquido zuccherino dal sapore fortemente floreale, ideale per cocktail o per glassature di carni delicate. Va sempre ricordato che qualsiasi parte di pianta si voglia utilizzare bisogna conoscere come la pianta è stata gestita: le piante possono accumulare prodotti fitosanitari, smog, sostanze nocive e anche metalli pesanti, per questo motivo il foraging deve essere eseguito con attenzione e diligenza, onde evitare spiacevoli inconvenienti.

Arundo Donax - Canna domestica

Ordine: Poales
Famiglia: Poaceae
Genere: Arundo
Specie: A. donax

CARATTERISTICHE BOTANICHE

La canna comune è una specie erbacea perenne che può raggiungere i 10 m di altezza. È composta da un fusto che, come in tutte le Graminacee, prende il nome di culmo ed è cavo all’interno. Le foglie sono molto grandi (fino a 60 cm), alternate e di colore verde. Il fiore è una caratteristica pannocchia lanosa che si rinviene generalmente da settembre e genera dei semi sterili.

È ora importante fare alcune precisazioni che possono sembrare complesse ma che ci aiutano a capire la grande forza di questa pianta e, perché no, cercare di dare uno sguardo al futuro. Il processo fotosintetico consiste nella produzione, da parte della pianta, di sostanze nutritive: in parole povere, in presenza di luce, la pianta “mangia” anidride carbonica e acqua per poi trasformare il tutto in nutrienti (perlopiù carboidrati). La fotosintesi ha dei passaggi chiari e precisi che però, in alcune condizioni ambientali, sarebbero inefficienti. Ecco perché si sono sviluppate tecniche di fotosintesi diverse che prendono il nome di C4 e CAM, contrapposte al classico processo che prende il nome di C3. Il C4 consente di avere un’efficienza molto maggiore del C3 e, infatti, è attuato da quelle piante che si trovano a loro agio in climi molto caldi e soleggiati (es. il mais) mentre il CAM ha un’efficienza molto bassa che però consente di produrre nutrienti anche in climi dove sarebbe impossibile con gli altri metodi (es. i cactus). La canna domestica presente un ciclo C3 che però riesce ad avere un’efficienza fotosintetica molto maggiore di un C4, cosa che permette a questa specie di dominare le altre piante in ogni tipo di clima. Abbiamo anche detto che i semi sono sterili, pertanto è lecito chiedersi come sia possibile la diffusione di nuovi individui. A. donax si propaga facilmente attraverso i rizomi (“radici”): bastano pochi centimetri di rizoma con almeno un nodo e crescerà facilmente una nuova pianta. Questo sistema permette il propagarsi, ad esempio, dopo un’inondazione: pezzi di rizoma si rompono e vengono portati a valle dalle acque dove cresceranno e daranno vita ad una nuova colonia. Per queste caratteristiche è considerata nelle nostre aree una pianta fortemente infestante.

HABITAT

È probabilmente una pianta originaria dell’Asia Occidentale, oggi è diffusa in tutte le regioni temperate e sub-tropicali, con carattere invasivo.

CURIOSITÀ

Il nome deriva dal celtico “aru”, acqua, e dal greco “donax”, che significa canna, probabilmente riferito al fatto che cresce spesso in ambiente fluviale o in zone ad alto ristagno idrico.

Storicamente è stata largamente usata da molti popoli per la fabbricazione di frecce, canne da pesca, calami e carta. Oggi trova usi alternativi molto interessanti ma ancora in fase di sperimentazione: oltre al classico utilizzo per la produzione di biomassa, in Florida si sta costruendo una centrale elettrica interamente alimentata con la canna domestica. In questo caso considerate che l’appezzamento di canna è in grado di assorbire una quantità di CO2 equivalente a quella emessa durante la sua combustione! Può essere anche utilizzata in forma di pellet come biocombusibile, dato l’elevato potere calorifico (unico problema è l’elevata presenza di silice nel legno della canna domestica). 

Una grande importanza ha questa pianta nel risanamento ambientale di aree contaminate da diversi inquinanti come i metalli pesanti, l’arsenico, i reflui zootecnici e anche nella depurazione delle acque sotterranee. Numerosi studi hanno dimostrato l’elevata tolleranza a queste sostanze e la capacità di assorbirle. Un ulteriore vantaggio rispetto a questo tema delicato sta nel fatto che A. donax non è appetibile per gli erbivori; pertanto, si limita notevolmente l’introduzione di tali sostanze nella catena alimentare. 

Nelle nostre aree è ancora considerata una pianta infestante e da eliminare, ma si è dimostrato un compito tanto difficile quanto oneroso. Mi viene da pensare, visti i numerosi studi svolti in altre parti del mondo, non sarebbe meglio adottare un approccio diverso? Ad esempio, se non possiamo batterli, uniamoci a loro!

Hedera helix – Edera comune

Ordine: Apiales
Famiglia: Araliaceae
Genere: Hedera
Specie: H. helix

CARATTERISTICHE BOTANICHE

L’edera è una pianta arbustivo-lianosa sempreverde che può avere portamento sia rampicante che strisciante: laddove può arrampicarsi aderisce al substrato con piccole radichette avventizie (sono radici provvisorie che la pianta è in grado di generare più velocemente), mentre in assenza di una superficie su cui abbarbicarsi cresce strisciando sul suolo. Può raggiungere dimensioni ragguardevoli di oltre i 20 metri! Le foglie mostrano un fenomeno molto interessante che prende il nome di eterofillia: le foglie giovani che crescono sui rami striscianti, poco esposti al sole, hanno forma palmato-lobata, mentre le foglie sui rami più alti, ben esposti, hanno forma ovato-romboidale. Questo fenomeno è presente in molte specie, in questo caso può essere causato dalle diverse condizioni ambientali in cui i rami si trovano anche se senza dubbio esiste una componente genetica che influenza tale fenomeno. Ad ogni modo, le foglie si presentano molto lucide, di colore intenso e nervatura chiare, tali da essere facilmente riconoscibili. I fiori sono piccoli, verdi, composti da 5 piccoli petali e riuniti in ombrelle (sono infiorescenze a grappolo, formate da tanti piccoli fiori peduncolati che si raccolgono a formare un immaginario ombrello).

I frutti si presentano come bacche globose che compaiono in primavera (anche se non è raro trovare le bacche a novembre e per tutto l’inverno): inizialmente di colore verde, virano poi verso il rosso e, infine, al nero-bluastro. Gli uccelli sono ghiotti di bacche d’edera ma va ricordato che non sono edibili per l’uomo: non sono considerabili velenosi, ma dato l’elevato contenuto in saponine sono responsabili dell’irritazione delle pareti gastriche. Tenete presente che le saponine sono contenute in moltissime piante, anche commestibili: sono una sorta di difesa immunitaria delle piante, specialmente contro funghi patogeni e come tali andrebbero sempre consumate con moderazione; ad esempio la glicirrizina, contenuta nella liquirizia, è utilizzata spesso in ambito farmacologico ma alcuni studi hanno mostrato come sia il maggior responsabile di disturbi cognitivi di bambini nati da donne che hanno assunto un quantitativo elevato di questa saponina (Katri Raikkonen et al., American Journal of Epidemiology, vol.170, n.9 2009). Ovviamente non stiamo demonizzando la liquirizia o le saponine, ma è un ulteriore esempio di un assunto logico che viene dimenticato troppo spesso: le piante producono sostanze PER IL PROPRIO INTERESSE E NON PER IL NOSTRO!!!

HABITAT

L’edera è distribuita in Europa e in Asia: colonizza molte aree, tra cui sottoboschi, aree urbane, foreste e preferendo zone umide e ombrose. Si hanno notizie della pianta in Italia sin dai tempi dei romani ed ha ispirato numerose leggende: racconta Ovidio che dopo la nascita di Bacco, generato dal rapporto tra Giove e Semele (una donna mortale), alcune ninfe celarono la culla con il bimbo grazie ad una pianta d’edera, per evitare la furia di Giunone, sposa di Giove. Per questo motivo la pianta è stata consacrato al Dio Bacco ed era presente in tutte le cerimonie in suo onore. La storia si riconduce a prima della nascita di Cristo: l’edera era già abbondantemente presente in Italia!

CURIOSITÀ

Nonostante sia una specie invasiva, quasi infestante, è una pianta che ricopre dei ruoli molto particolari, ma fondamentali, nell’ecosistema: innanzitutto i suoi fiori hanno un elevato contenuto in polline e fioriscono in mesi dell’anno in cui le api non lo trovano facilmente (il miele generato dal nettare di edera cristallizza molto facilmente, ecco perché le api lo utilizzano come ultima risorsa per i mesi più duri); fornisce inoltre cibo agli uccelli nei mesi invernali.

Spesso si considera erroneamente una pianta parassita a causa delle radici con cui si avvinghia ai tronchi: queste radichette hanno la sola funzione di aggancio e non “succhiano” la linfa della pianta ospite. Svolgono invece una funzione ancora più importante: il loro peso fa cadere gli alberi meno resistenti o malati, che occuperebbero spazio e non sarebbero in grado di fornire utilità all’ecosistema. È un qualcosa che può sembrare brutale e cinico, ma la natura vive considerando il bene del tutto maggiore del bene del singolo!

Ligustrum vulgare – Ligustro

Ordine: Lamiales
Famiglia: Oleaceae
Genere: Ligustrum
Specie: L. vulgare

CARATTERISTICHE BOTANICHE

Il ligustro è una pianta cespugliosa che può superare i 20 metri di altezza. È tecnicamente una caducifoglia ma in climi temperati e miti si comporta come una sempreverde perenne. La corteccia si presente grigio-verdastra, talvolta tendente al marrone e con elevata flessibilità (Ligustrum deriva dal latino “ligare”, legare). Le foglie hanno forma diversa in base alla posizione: quelle basali sono ellittiche mentre quelle apicali sono lanceolate. In ogni caso sono coriacee e lucide, di un colore verde acceso. I fiori si trovano sulla parte terminale del ramo e assumono una struttura “a pannocchia”, di colore bianco ed estremamente profumati. È possibile ammirare la fioritura da maggio fino a luglio inoltrato (a seconda delle zone). I frutti sono delle bacche di colore nero che contengono fino a 4 semi. Non sono commestibili per l’uomo ma sono molto apprezzate dagli uccelli.

HABITAT

È una pianta presente pressocché in tutta Italia ad eccezione delle isole (riscontrabile sporadicamente in Sicilia ma non in Sardegna). Sono molte le specie appartenenti al genere Ligustrum e diffuse in molte parti del mondo ai margini dei boschi.

CURIOSITÀ

Da un punto di vista storico il Ligustro è presente in molte leggende, soprattutto in Cina, culla d’origine peraltro della specie: si narra di due amanti a cui venne impedito di stare insieme a causa della diversità di rango sociale; secondo la leggenda si trasformarono in due alberi di Ligustro e, crescendo, le loro chiome si sono legate tra loro per stare per sempre vicini. In Giappone ha un significato molto simile e rappresenta l’amore e la tranquillità. In Europa viene introdotto nel XVI secolo e diventa un simbolo sacro anche se, in molte culture, rappresenta la morte e la malinconia.

Dalle bacche del Ligustro si estrae la ligulina, un colorante particolare che viene utilizzato come indicatore chimico. Questo perché ha la caratteristica di cambiare colore in base al pH: è rosso in ambiente acido, verde in ambiente basico e di colore azzurro in presenza di calcare.

Muschi e Licheni

Nella letteratura vengono spesso descritti insieme ma, nella realtà, sono due classi estremamente differenti. Entrambe rappresentano una parte del regno vegetale in grado di sopravvivere in ambienti estremi (privi di luce, molto freddi, acidi etc…) e ci sarebbe davvero tanto da dire. Per brevità daremo alcuni cenni di carattere generale.

MUSCHI

I muschi appartengono al Phylum ( detto anche “Divisione” in botanica ) delle Briofite (Bryophyta) e alla Classe Musci. Ogni insieme di specie di muschi, a seconda dell’ambiente in cui vive, presenta delle tecniche di adattamento estremamente interessanti che gli permettono di sopravvivere. Ad esempio alcuni dei più noti, gli Sfagni o muschi della torba, crescono nei boschi asciutti di aghifoglie in cui l’acqua scarseggia: le loro foglioline hanno sviluppato delle sottili cellule vive contornate di grandi cellule morte che fungono da magazzino d’acqua e, attraverso dei fori, irrorano quelle vive per permettere tutti i processi cellulari fondamentali alla sopravvivenza. Gli Sfagni accumulano perciò enormi quantità di acqua che possiamo osservare in dei particolari ecosistemi che noi chiamiamo paludi. Un’altra particolare specie, Tortula Muralis, vive in ambienti in cui le temperature superano i 70°C ed è in grado di restare in uno stato di vita latente, quando essicca, che può durare fino a 14 anni! Altri vivono in ambienti alcalini o calcarei: in queste condizioni le piante spesso vanno incontro a gravi carenze di micronutrienti, mentre alcuni muschi sono in grado di separare il calcio dall’acqua ( CaCO3 è il carbonato di calcio o calcare ) e portare alla formazione del tufo calcareo.

La riproduzione sessuale avviene grazie a due organi: l’organo sessuale femminile, l’archegonio, e quello maschile, l’anteridio. Affinché sia possibile la fecondazione è necessario che una goccia di acqua faccia da ponte di collegamento tra i due organi. A questo scopo in molte specie sono presenti degli organi piliferi con delle particolari foglioline ( pericheziali ) che trattengono le gocce d’acqua aumentando notevolmente la possibilità di creare il ponte.

I muschi rappresentano delle specie pioniere e grazie alla loro capacità di immagazzinare acqua sono fondamentali per gli equilibri idrici di ogni ambiente che colonizzano.

Negli ultimi anni hanno preso piede anche da un punto di vista alimentare, grazie a quella che viene definita “cucina selvatica nordeuropea”: ritroviamo alcune specie di muschi consumati principalmente crudi, essiccati o in gel; va comunque tenuto bene in mente che non tutte le specie sono edibili e che il riconoscimento di tali esseri è estremamente complessa, si consiglia pertanto il consumo di muschio certificato come “edibile” e di evitare il foraging, peraltro spesso illegale.

LICHENI

I licheni sono l’espressione di un fenomeno conosciuto come simbiosi: si tratta di un rapporto di convivenza tra due esseri viventi che, in questo caso, porta ad un equilibrio fisiologico tale da poter considerare i due protagonisti come un’unica entità. I simbionti (coloro legati da un rapporto simbiontico), nel caso dei licheni, sono un fungo e un alga. Ma quali sono i vantaggi che ottengono questi due organismi? Dobbiamo considerare che i licheni colonizzano zone estreme del pianeta, ad esempio le rocce di alta montagna: il fungo non avrebbe alcuna possibilità di procurarsi i carboidrati necessari per i propri processi vitali, mentre l’alga verrebbe distrutta dalla scarsità di acqua e dal clima ma nella loro coesistenza l’alga è in grado di produrre il cibo per il fungo e quest’ultimo fornisce l’acqua e il riparo dalla luce diretta. La cosa veramente interessante è che, nonostante esistano più di 17 mila specie di licheni, l’equilibrio che permette il loro prosperare è fortemente instabile: se uno dei due simbionti trova le condizioni ideali per vivere da solo tenderà a sopraffare l’altro, portandolo alla morte. Si può dire quindi che i licheni esistono solo nella condizione in cui il fungo e l’alga hanno necessità reciproca dell’altro. Si parla, quindi, di “simbiosi per fame”.

Da un’osservazione esterna possiamo distinguere i licheni in tre categorie, distinte in base alla struttura del tallo (il corpo vegetativo degli organismi vegetali inferiori):

Licheni crostosi: hanno un tallo fortemente appiattito e aderente al substrato, simile ad una crosta, sia uniforme e sia composto da numerose scaglie, dette areole;

Licheni fogliosi: possono avere tallo appiattito ma non aderente al substrato, semplicemente fissato in alcuni punti. Alcuni di essi sono fissati in un unico punto al centro del tallo, che prende il nome di umbilicus o ombelico;

Licheni fruticosi: i talli sono sollevati e spesso formano delle strutture molto fitte. Frequentemente pendono dalle rocce o dagli alberi e per questo motivo prendono il nome di “barbe di bosco”.

I colori del tallo sono molto variabili, dal verde al giallo, dall’arancione al rosso vivo, ma in ogni caso esso cresce al di fuori del substrato (rocce, cortecce, foglie…). In rari casi il tallo cresce all’interno del substrato.

I licheni colonizzano ambienti fortemente ostili: i deserti, le rocce dell’Antartide, le zone marine dei frangenti e persino sulla lava vulcanica raffreddata. La forza di questi organismi è la loro capacità di passare rapidamente da una stato di vita attiva ad uno di vita quiescente: in questa condizione alcune specie possono resistere a temperature di -196°C e +100°C. Ciò che conferisce ai licheni queste straordinarie capacità è ancora ignoto, ma si pensa derivi da alcune sostanze prodotte dal metabolismo secondario dette acidi lichenici.

Volendo fare un discorso più legato all’uomo, i licheni sono organismi fortemente sensibili all’inquinamento atmosferico: ogni specie è più o meno sensibile ad alcune sostanze ed è per questo motivo che l’osservazione in città della popolazione lichenica è un indicatore preciso della qualità dell’aria e del livello di inquinamento; alte percentuali di anidride solforosa (prodotte dalla combustione del petrolio o del gasolio) portano alla degradazione della clorofilla e, quindi, alla morte del lichene. 

Dal punto di vista alimentare i licheni ricoprono un ruolo molto marginale per l’uomo, sono invece fonte di nutrimento per molti animali, sia selvatici che di allevamento (Nord Europa).

Olea europea - Olivo

Ordine: Lamiales
Famiglia: Oleaceae
Genere: Olea
Specie: O. europea

CARATTERISTICHE BOTANICHE

L’olivo è una pianta sempreverde, caratterizzata da crescita lenta e alta longevità. Tutte le piante hanno 3 cicli vitali: giovanilità (dalla nascita alla prima produzione di frutta), maturazione (dalla prima produzione alla “vecchiaia”) e senescenza (la “vecchiaia” delle piante). L’olivo, in relazione a questi cicli, arriva a maturazione in 10-15 anni e in senescenza verso i 50 anni ma, a differenza della maggior parte delle specie vegetali, mantiene una produzione quasi costante per secoli, si consideri infatti che l’olivo è una pianta che può essere millenaria! Secondo alcuni autori è una specie virtualmente immortale, ma approfondiremo l’argomento nella sezione dedicata alle curiosità.

Il fusto è cilindrico, di colore grigio, da cui si dipartono ogni anno numerosi polloni basali che, se non gestiti, danno vita a nuove piante. Le foglie sono semplici, lanceolate e con un caratteristico colore verde scuro sulla pagina superiore e argenteo su quella inferiore. All’ascella delle foglie (la parte dove il picciolo è legato al ramo) troviamo le gemme. Da alcune di queste gemme (cioè quelle formatesi l’anno precedente) si sviluppano i fiori ermafroditi. Questi sono a grappolo, di colore bianco. La fioritura inizia tra maggio e giugno, a seconda delle varietà. Il frutto è una drupa, composta da una parte morbida, detta polpa e da cui si ricava l’olio, e una parte dura, il nocciolo.

Allo stato selvatico un olivo può raggiungere i 20 metri di altezza, con una chioma di forma tendenzialmente conica, molto diverso dalle piante che siamo abituati ad osservare: le potature infatti portano a forme vantaggiose per l’uomo. Negli ultimi anni si è sviluppato un sistema di allevamento chiamato “super-intensivo”: le piante vengono allevate in filari, costituendo degli alberelli di dimensioni ridotte, rendendo possibile la raccolta meccanizzata. Considerate che un allevamento intensivo classico conta 500-600 piante/ha mentre un superintensivo fino a 1600! Le piante così allevate però vengono rimosse dopo circa 15 anni. Qualunque sia l’esigenza umana, è davvero corretto, da un punto di vista etico, costruire macchine agricole sempre meno inquinanti, gestire il suolo in maniera poco impattante e salvaguardare gli insetti se poi, in quello stesso appezzamento, una pianta che potrebbe vivere millenni viene eliminata dopo 15 anni? Ciò che l’uomo vuole salvaguardare è la natura o la possibilità di sfruttarla ancora? Ci sarebbe da pensare.

HABITAT

L’olivo è, da un punto di vista agronomico, una pianta con esigenze ambientali specifiche: soffre l’ombreggiamento, l’elevata umidità, i ristagni e anche le temperature troppo basse. Queste condizioni portano a produzioni scarse e talvolta assenti (alternanza). Va però considerato che, ad esempio, le gelate posso portare alla morte dell’apparato aereo ma la ceppaia riesce a sopravvivere mantenendo la pianta teoricamente viva. Lunghi periodi di siccità sono facilmente sopportati dall’olivo attraverso una tecnica molto interessante: i germogli cessano di crescere e le foglie cadono, in questo modo la superficie traspirante diminuisce; le foglie restanti chiudono gli stomi (i pori che permettono la traspirazione) e i frutti presenti fungono da serbatoio di acqua che la pianta riassorbe per evitare la morte.

La culla d’origine si suppone sia la Palestina, ma ci sono testimonianze molto antiche anche in Mesopotamia e in territori indiani; alcune specie diverse da O. europea si trovano in Oceania, Nuova Zelanda e anche nella Nuova Caledonia. In Italia arriva quasi sicuramente dalla Grecia. Ad ogni modo l’olivo colonizza tutta la fascia dal 30° al 45° parallelo Nord e Sud.

CURIOSITÀ

Come promesso, cerchiamo di capire come mai l’olivo è una pianta virtualmente immortale. Come detto in precedenza, questa pianta, è in grado di generare dei polloni dalla base del fusto. Questa capacità non viene persa nel corso degli anni: una pianta millenaria può generare polloni esattamente come una pianta di poche decine di anni. Queste strutture vegetali sono, a tutti gli effetti, delle nuove piante, giovani, che hanno una caratteristica fondamentale: presentano lo stesso patrimonio genetico della pianta che le ha generate, sono perciò geneticamente identiche. Ecco perché, se una pianta millenaria genera un pollone poco prima di morire, quel pollone potrebbe vivere altri mille anni e avere lo stesso corredo genetico e, a sua volta, potrà generare un ulteriore pollone e così via. Forse non si tratta di immortalità per come noi la intendiamo, ma certamente è quanto di più vicino si possa riscontrare!

L’olivo è una pianta da sempre considerata sacra per molte popolazioni antiche, dai greci ai romani, fino anche a diventare simbolo di pace nella religione cristiana.

Esistono numerose varietà di olivo e considerate che più del 40% di queste sono presenti in Italia mentre la Spagna e la Grecia (che sono i maggiori allevatori di olivo al mondo) contano, in due, solo il 18% delle varietà totali! Molte piante, nel mondo, sono state standardizzate dalle richieste di mercato (es: le mele, di cui esistono oltre 7000 varietà ma, in fondo, quante di queste troviamo nei supermercati?) e in molte parti del mondo l’olivo sta subendo lo stesso destino: spero che in Italia la moltitudine di varietà esistenti possano continuare a prosperare e ad offrirci quella “diversità” che oggi è argomento importante in molti settori, tranne quello dell’agricoltura.

Osyris alba – Ginestrella comune

Ordine: Santalales
Famiglia: Santalaceae
Genere: Osyris
Specie: O. alba

CARATTERISTICHE BOTANICHE

È una pianta arbustiva di piccole dimensioni (max. 150 centimetri) con un portamento che può essere sia eretto che strisciante sul terreno. Presenta delle piccole foglie prive di picciolo che si ammassano sul fusto, di solito di colore verde scuro o marrone. I fiori possono essere sia ermafroditi che divisi in maschile e femminile, di colore verde o bianco, e presentano alcune caratteristiche, tipiche delle Angiosperme: non hanno una distinzione tra petali e sepali (sono delle strutture simili a foglioline verdi che troviamo spesso a sostegno del petalo) ma sono provvisti di tepali (un unico elemento che compone il fiore) e, in più, invece dei classici pistilli hanno 3 carpelli, cioè delle foglie modificate che si fondono insieme e formano l’apparato riproduttore femminile.

Altra componente interessante è data dalle radici: queste vengono definite radici austoriali in quanto hanno azione parassita nei confronti di altre piante; il nome deriva da austorio, che è l’organo con cui molti funghi parassiti traggono nutrimento dall’ospite. La ginestrella comune è pertanto una pianta parassita.

I frutti sono delle drupe ovali rosse, di piccole dimensioni, che contengono un seme dal sapore amaro.

HABITAT

È una pianta comune nella macchia Mediterranea, dove è facilmente osservabile dal livello del mare fino ad oltre i 1000 metri di altitudine ed estendendosi fin anche al Medio Oriente.

CURIOSITÀ

In tempi passati Osyris alba veniva usata per costruire contenitori o piccoli vasi. È assolutamente da non confondere con la Ginestra odorosa, pianta appartenente alle Fabacee che è, peraltro, commestibile: la ginestrella deve il suo nome proprio alla somiglianza con essa ma è distinguibile dal colore dei fiori (gialli quelli della ginestra odorosa) e dalla forma delle foglie che potrebbe però trarre in inganno i meno esperti. Si consiglia dunque la raccolta SOLO alla fioritura!

Prunus amygdalus var. amara

Ordine: Rosales
Famiglia: Rosaceae
Genere: Prunus
Specie: Prunus amygdalus    

CARATTERISTICHE BOTANICHE

Il mandorlo è un albero tendenzialmente piccolo che non supera i 7 metri in natura. Ha una corteccia liscia e grigia ma che, con l’avanzare dell’età, diventa contorta, scura e screpolata. Le foglie si definiscono lanceolate, picciolate e caduche (in inverno la pianta le lascia cadere). Il fiore, bianco o rosato, si compone da 5 sepali, 5 petali e 40 stami: questa struttura è caratteristica di un gruppo di piante che, nel linguaggio agronomico, prende il nome di Drupacee, gruppo che comprende anche il pesco, l’albicocco, il susino, etc…. Questo nome ci ricollega alle caratteristiche del frutto che prende il nome di drupa: è un vero frutto composto da esocarpo (la buccia), il mesocarpo (la polpa) e l’endocarpo (il nocciòlo), all’interno del quale troviamo il seme (che è la parte del mandorlo che siamo abituati a mangiare).

Il mandorlo amaro è una pianta prevalentemente ornamentale, questo perché all’interno dei semi è contenuto un glicoside, l’amigdalina (da cui il nome della pianta), che rende il seme velenoso. L’amigdalina è un glicoside definito cianogenetico, cioè in grado di produrre acido cianidrico: questo ben noto acido ha una dose letale di 0,5-3,5 mg/kg di peso corporeo (cioè per un uomo di 80 kg è tra i 40 e i 240 mg) e va considerato che ogni seme di mandorla amara ne può contenere fino a 9 mg (secondo questi dati mangiare 10 mandorle amare porta già a superare il range minimo della dose letale!!!)

HABITAT

La culla d’origine del mandorlo è riconducibile ai paesi bagnati dal Mediterraneo orientale e dell’Oriente. Ne sono stati trovati dei semi all’interno della tomba di Tutankamon e in numerosi scritti di origine greca si fa riferimento a questa pianta, come ad esempio la storia della principessa tracia Fillide, tramutata dopo la morte in un mandorlo dalla dea Atena. In Italia approdò su navi fenice. L’uso più comune inizialmente fu come sostituto dell’olio d’oliva: l’olio di mandorla era notevolmente meno costoso. Il mandorlo amaro è la specie selvatica, ciò significa che è il “genitore” di tutte le mandorle che oggi conosciamo. Ma come è riuscito l’uomo a mangiare un seme fortemente velenoso? Uno studio del 2019 ha individuato una mutazione genetica che ha portato, inizialmente pochi esemplari, a non produrre amigdalina: a questo punto qualcuno, probabilmente provando ad assaggiare una mandorla, si è accorto che il gusto amaro non era presente e decise di coltivare il primo mandorlo dolce della storia. Secondo alcuni studiosi era il 10000 a.C. e il primo albero da frutto della storia dell’uomo veniva inconsciamente selezionato geneticamente.

La storia di come il mandorlo sia divenuto una pianta commestibile è comune a molte altre specie vegetali, questo ha portato molti scienziati a porsi una domanda interessante, che spero possa dare motivo di meditazione a molti di voi: è davvero l’uomo che decide quali piante propagare? Oppure le piante stesse per avere più probabilità di preservare la specie si rendono, grazie a processi naturali di mutazioni genetiche, commestibili affinché la specie dominante del pianeta ne diffonda i semi? E ancora, se così fosse, quanto poco conosciamo del Regno Vegetale?

CURIOSITÀ

Il mandorlo amaro è molto presente nei boschi del parco nazionale del Sirente-Velino e sono usati per la produzione degli amaretti di Gagliano Aterno, con una ricetta tramandata dal Convento delle Clarisse. Anche il più noto amaretto di Saronno prevede una percentuale di mandorle amare nella ricetta. Tutto questo è possibile perché l’amigdalina produce cianuro solo in caso di lesioni del seme (masticazione o digestione). Gli estratti dei semi della varietà amara sono spesso utilizzato in cosmesi o anche in pasticceria come aromatizzanti.

Rhamnus alaternus – Alaterno

Ordine: Rosales
Famiglia: Rhamnaceae
Genere: Rhamnus
Specie: R. alaternus

CARATTERISTICHE BOTANICHE

Si presenta come un arbusto di discrete dimensioni (fino a 5 m) e sempreverde. Talvolta si accresce come un albero a chioma globosa. In ogni caso è caratterizzato da una corteccia rossastra e da un legno estremamente duro che, al taglio, emana uno sgradevole odore: questa peculiarità gli ha portato, in alcune regioni, il soprannome di “legno puzzo”. Le foglie sono coriacee e lucide, di forma lanceolata e di colore verde scuro sulla pagina superiore e giallastre in quella inferiore. I piccoli fiori sono facilmente riconoscibili sia per lo spiccato odore di miele che per l’assenza di petali e si raccolgono in grappoli dal colore verde-giallastro. I fiori sono delle drupe di forma tondeggiante, molto decorative, con colorazioni variabili a seconda del grado di maturazione: vanno dal rosaceo al rosso, per poi arrivare al nero in piena maturazione.

HABITAT

È una pianta tipica della macchia mediterranea, dalla Spagna fino all’Asia Minore, e ben si sviluppa fino a quote di 700-800 metri. Ha un’elevata capacità di adattamento a terreni acidi o calcarei, resiste alla siccità ma anche all’eccessivo ristagno idrico. Queste caratteristiche la rendono particolarmente apprezzata come pianta da siepe. È anche facilmente propagabile per talea: tagliare un rame di un alaterno selvatico e piantarlo nel giardino di casa o in un vaso darà presto vita ad una pianta vigorosa e senza troppa necessità di cure.

CURIOSITÀ

È una pianta che in passato ha trovato largo impiego in diversi settori: spesso veniva estratto un pigmento colorato sia dalle foglie (giallo-verdastro) che dai frutti (verde vescica), inoltre le bacche, sebbene tossiche, venivano essiccate e usate come lassativo; questa proprietà è da ricondurre alla presenza di crisorannina, che è comunque tossica e se ne sconsiglia pertanto l’assunzione.

Il legno di Alaterno è citato in numerose leggende popolari e viene utilizzato per la costruzione di amuleti con la capacità di scacciare i pericoli e il male (in Sardegna tali amuleti prendono il nome di “stella a quattro punte della Dea Madre”. In passato veniva anche usato per curare il mal di fegato.

Viburnum tinus

Ordine: Dipsacales
Famiglia: Viburnaceae
Genere: Viburnum
Specie: V. tinus

CARATTERISTICHE BOTANICHE

È una pianta tipica della macchia mediterranea. Si presenta a portamento arbustivo ed eretto, con una serie di rami che si dipanano dalla base. Può raggiungere i 3 metri di altezza e presenta una corteccia poco rugosa, verdastra con lenticelle grigie. Le foglie sono verde scuro, coriacee e lucide sulla pagina superiore mentre, sulla pagina inferiore, sono più chiare e ricche di nervature. La fioritura, come in tutte le piante, è condizionata dall’andamento climatico, ma può presentarsi sia in primavera che in tardo autunno e si esplica con fiorellini ombrelliformi di colore bianco (rosa quando sono ancora nella fase di boccioli) e composti da 5 petali. Il frutto è una drupa ovoidale che, a completa maturazione, assume un caratteristico colore blu metallico. Nessuna parte del viburno è commestibile, data la presenza di viburnina. Alcune specie hanno elevata tossicità nella corteccia e minore nelle altre parti, ma che comunque causano vomito e diarrea anche a basse dosi. Gli uccelli sono invece molto ghiotti dei frutti del viburno.

HABITAT

È caratteristico del bacino del Mediterraneo, comunemente si rinviene nei boschi di latifoglie, fino agli 800 m s.l.m.; è invece raro trovarlo allo stato selvatico nei paesi più a Sud dell’Italia.

CURIOSITÀ

Il viburno è noto sin da tempi molto remoti: la famosa Mummia del Similaun (che avrebbe attualmente la veneranda età di 5300 anni!), rinvenuta da Erica ed Helmut Simon nel 1991, portava con sé alcune frecce costruite con legno di viburno. Il nome proviene infatti dal latino “viere” che significa “legare” o “intrecciare”. Se ne parla in molte opere, da Ovidio a Virgilio, fino a Pascoli, in tempi più recenti. Nel Medioevo era considerata pianta dalle proprietà magiche e, nel secolo scorso, viene rappresentato nelle Nature Morte.

L’utilità per l’uomo è andata via via scemando nel corso dei secoli, fino a raggiungere uno scopo puramente decorativo.